lunedì

racconto d'estate

(il racconto nasce da un gioco letterario lanciato su superZeta dall'utente balkan wolf. lui ha postato un incipit:

Sei su una spiaggia.
E' notte.
C'è un fuoco acceso.
Ti guardi in giro e scopri che sta arrivando...


ciascuno l'ha proseguito come ha creduto.

io, nella maniera che segue.)


***




nessuno.

non arriva nessuno.

anche questa notte si è presa gioco di me.

eppure c'è stato un tempo in cui bastava accennare al viaggio che avremmo fatto in polinesia perchè tirasse su col naso come una cavalla dalle froge di melassa, perchè arrotolasse le sue palpebre enormi su per quei suoi occhi a palla, e mi ficcasse la sua larga linguona in un orecchio moromorando "...Vittorio".

un tempo.

poi è bastato che il mondo mi tremasse sotto al culo, che anche i cani in giardino hanno rifiutato le crocchette al rhum se servite dalla mia mano.
e lei...

sempre più distanti da me quei suoi fianconi morbidi e caramellosi, quelle ginocchia tonde come spalle di lottatori di sumo.

ti amavo, Valeria, con la tenera minchioneria dell'ex ragazzino grasso e riccioluto, farcito di fogli da diecimila e con l'autista pronto a portarmi da casa a scuola e da scuola a casa, senza lasciarmi il tempo chessò, di fare a botte nel cortile e crescere almeno un pi' come un uomo.

pensavo che l'abisso più umiliante del mio fallimento come uomo -prima di incontrarti- fosse stato quello sputo in piena fronte la notte in cui Rita andò via, puntandomi la sua rossissima volgare unghia laccata e croata contro e sssssciorinando come frustate i titoli dei film prodotti da lei "da me, capisci? da me", alternando l'indice tra lei alta e schifata e me, pallottoloso e sudato figlio di papà.

papà.

resto immobile, i piedi ficcati nella sabbia gelida e ricordo d'improvviso lo sguardo sconfitto e disgustato di mio padre, tutte le volte che in lacrime sbavando lo supplicavo di non impormi la visone di ore ed ore di films, io volevo solo potermi appartare per qualche minuto in una stanza buia e lasciare scorrere metrie metri di pellicola, di quella proibita che solo una volta da ragazzino trovani ben nascosta nell'ultimo cassetto della sua scrivania, piena di tette e culi e di occhi azzurri e carne bianca tra ansimi in svedese e americano.

ma lui no.

fermo in poltrona accanto a lui a sorbirmi kili di sorpassi e armate Brancaleone, fino a schiattare di noia sublime.

quanti di voi hanno letto nero su bianco sul giornale la dichiarazione di vostro padre "mio figlio è un cretino"?

io si.

mio padre Mario l'ha fatto.

vittorio l'imbecille, vittorio l'idiota, vittorio attaccato al culo della mamma e che non sa fare un solo passo da solo.

poi tu.

Valeria.

notti di sesso fatte di sudore e piccoli infarti, io scivoloso come un'anguilla bigasluniana, lei la foce del mio fiume, lei la carne bianchissima da slinguazzare tra l'erba di quello stadio lasciato aperto di notte solo per noi.

Valeria.

quando sei andata via, santificata dall'essermi rimasta virtualmente accanto durante la crocifissione pubblica, girando sulle punte dei tuoi alluci grassocci, mi hai detto di avere sempre odiato il mio odore, la pellicola appiccicosa del mio sudore fiorentino.

guardo ancora il mare.

due giorni fa ti ho reincontrata per caso a casa di amici, le narici rosse e screpolate e nello sguardo l'assenza bovina che un tempo mi affascinò.

fatta e strafatta.

piangevi.

mi hai pregato di portarti via da li, che il mondo è cattivo e non luccica come una foto di lachappelle.

ci siamo allontanati, una corsa veloce fino al porto e poi in barca, il vento a soffiarti nei capelli matidi di sudore, come una gomena di carne pesante.

quanto dura una sbronza?

quanto dura la bugia della coca ti ti brillava come sabbia tra naso e labbra?

hai aperto gli occhi bovini e quella maledetta gargarozzante risata sarda t'è saltata fuori di gola come un guanto bagnato a colpirmi il viso.

"tu? qui? TU? vittorio?", e giù a ridere, manate sulle cosce senza poterti tratenere.

sono rimasto a guardarti inciampare sulle tue stesse caviglione, ruzzolare, ridere, "tu? Vittorio? qui?" e indietreggiare indietreggiare indietreggiare.

quando sei caduta oltre il bordo dello yacth, ho fissato la luna, improvvisamente nitida e fresca.

gorgogliavi.

non so se fossi ancora li, quando per la prima volta m'è parso che con la mia pisciata notturna in mare andassero via anni ed anni di umiliazione e non amore.

ho messo in moto, e sono tornato a riva.

...


è notte.
il fuoco si è spento.
e anche questa notte non è arrivato nessuno.

anche questa notte la mia sirena di dolore non verrà fuori dalle acque per me.




(da "La Vita Segreta di V. Cecchi Gori", di HB, Olympia Press)



HB


( da superZ, Giusto perchè siamo in estate... )

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