mercoledì

Sputerò sulle vostre Tombe. ( La Ballata di Totò C. )

anche i cubetti di ghiaccio smettono di essere indifferenti ed assumono un'espressione pur sempre quadra, ma schifata.

i tre bestioni aprono la porta del locale a calci, tendono le braccia in avanti come se stesse per comparire wanda osiris in cima ad una scala di luce, e lasciano che l'uomo avanzi, pacioccoso e tirato a lucido nel suo completo tre pezzi blu notte.

Si guarda in giro, rotea gli occhietti tondi dietro le lenti degli occhiali costosissimi e poi con piccoli passi da gheisha timida saltella fino al bancone, dove ordina una spremuta d'arancia.
chiude le labbra a culetto di pollo e aggiunge, arrossendo orgoglioso "...siciliana".

è la sua trasferta allegra, è la prima notte da condannato felice e strafottente, il ciuffo sulla fronte brilla di gel costosissimo, una flora di peli azzurrini riluce sotto la pelle sgrassata delle guance, cinque anni sono allegri e remotissimi, non arriveranno mai, e domani li festeggerà con una guantiera di cannoli giganti traboccanti ricotta e canditi.

l'orchestra ha smesso di suonare, e il rumore di quella sua succhiata lunghissima, un sorso a fior di labbra che sancisce il sequestro del succo dal bicchiere alla sua bocca si prolunga ficcante come la punta di uno spillo rovente in un timpano.

mostra il palmo paffuto della mano e col dorso si netta lo spazio tra il naso e il mento, lasciando un'unica molle strisciata di semini e nervetti d'arancia.

allunga una mano, e ficca le dita nella ciotola di frutta secca, rovista, spilucca e lascia tracimare anacardi e arachidi, per poi raccoglierne un pugno con la grazia di una pala meccanica, e ficcarselo in bocca.

"è bieddu stu poistu" commenta, ruotando sul perno dello sgabello.

si guarda intorno, sorride scoprendo dentini piccoli ed ordinati, poi batte la mano sul bancone, come un bimbo impaziente.

"ma cche mminchia è? finì la musica?"

gli orchestrali hanno riposto gli strumenti, sono candele spente.

"non si balla? ma cche è 'sto mortorio?"

una delle tre colonne di carne che lo hanno accompagnato, e che sovrintendono alla sua sicurezza personale, lancia in alto una mano che fiorisce pesantemente fuori dal polsino della camicia bianchissima, e schiocca le dita.

le rischiocca.

schiocca ancora all'indirizzo degli orchestrali, che non si muovono.

"che mminchia siti, suddi? aviti a'ricchi 'ntuippati? il Presidente voli sentiri muisica".

pian piano gli strumenti vengono rintanati nele loro custodie, accompagnati da dita sottili e delicate.

nessuno di loro suonerà questa notte.

altre quattro persone hanno fatto il loro ingresso nella stanza, e si sono piazzate indifferenti agli angoli del salone.

ora e adesso, qui, dobbiamo decidere, io e i soci, cosa fare.

i bozzi sotto le loro giacche non sono grumi di farina, e di certo sono fatti di metallo duro.

"sono venuto da pailemmo appositamente" comunica il [i]Presidente[/i], "al termine di un processo indecoroso, per passare una bella serata, per divettimmi e fare quattro salti. per allontanaimmi dall'aria fetente di una magistratura che ci scassa la minchia, che segue traiettorie ambigue e ben precise, finalizzate a spezzare le gaimbe a chi combatte ogni gioinno il malaffare e quella cosa indefinita e nascosta chissà dove che è la mafia... "

questa volta la mano la schiaffa dentro la ciotola senza grazia, violentemente, imprigionando una decina di arachidi che poi trasferisce in bocca, dove le mastica triturando buccia e seme.

"...e non mi piace questo silenzio improvviso e accusatore, questi sguardi velati e l'atteggiamento di supponente superiorità morale che mi buttate addosso."

salta giù dalla sedia.

"perchè io non ho nulla di cui veiggognammi, io domani sarò al mio posto dietro una scrivania" -si infervora battendosi il pugno contro il petto -"a fare il mio lavoro, a proseguire le mie battaglie, ad onorare la volontà di tutti quegli elettori che mi hanno fatto dono della loro fiducia, e del loro apprezzamento"

raggiunge il centro della sala, compulsa la solidità del pavimento con piccole battute di suola, poi riacquistando la terrificante placidità del suo sorriso paffuto quasi arrossendo ammette:

"e adesso voglio baillare".




non scorderò mai più quella scena.
nessuno di noi la scorderà mai più.


totò inizia a danzare.


senza musica, senza una sola canzone di sottofondo, se non lo schiocco delle dita delle sue guardie del corpo, che battono un tempo impossibile e scoordinato, che con occhi amorosi seguono quell'oscena pantomima, quella di un uomo sgraziato e corpulento che si concentra nel sogno di una danza, una tarantella che si nutre di saltelli e mani sui fianchi, di leziosi sorrisini e giravolte, via via più veloce e furiosa, ed allora ecco che il salone si riempie come di un odore di pesce marcio, di urla da mercato e bestemmie, di profumi strazianti di limoni e scogli battuti dal mare, mentre il Presidente agita le braccia in una danza che ormai è un singulto orgiastico, la caricatura spaventosa di un ballo liberatorio ed offensivo.

uno dopo l'altro i suoi uomini mettono la mano dentro la giacca.

mongo fa per avanzare, canella si alza, wardog si china cercando d slacciare qualcosa di splendente dalla sua caviglia, sotto al pantalone.

ma quelli tirano fuori soltanto delle virgole di bronzo e metallo, sottili linguette che poi perquotono con i pollici, muovendogli intorno le labbra.

è un "dooooooooooing" maranzanesco e languido, un vibrare ossessivo che copre tutto e ci immobilizza a guardare quel sabba solitario.

totò balla e balla e balla, e suda fino a che la sua camicia non è una chiazza scurissima nell'ombra, e pesta i piedi e saltella e gira e spinge le mani contro i fianchi come un'anfora di lardo e pelo, e sorride mentre come uno straccio i suoi capelli zuppi aprono una raggiera di sudore tutto intorno, un cerchio di liquido acre che lo distanzia da noi, dalla stanza, dalla notte, dal mondo, dalla giustizia.

spinge le pelvi in avanti, come penetrasse l'oscurità, trema solido ed insiste, rotea gli occhi dietro le lenti appannatissime, divarica la bocca senza curarsi della bava che sprizza come un'ostensorio blasfemo, e come un cane che punta l'angolo buio di una casa, li dove nessun altro vede nulla che il niente, danza e danza e scopa e fotte e chiava l'aria.


poi gode.


un orgasmo compatto e sugoso come una porzione di meusa palermitana sbattuta dentro due fette di pane caldo, gocciolante ed oscena e carnalmente viva.

totò viene, e poi crolla al suolo.

la sua danza è terminata.

i suoi uomini si fanno avanti e lo raccolgono delicatamente, gli nettano la faccia dalla saliva e dalla bava ancora sfrigolante.

gli occhi di totò sono pieni di piacere.
di soddisfazione.


lo portano via rantolante, ancora preda di continue eiaculazioni.



*


tutto si rimette in moto.

come se una mano malefica avesse pressato il proprio dito sulla pellicola di un vecchio proiettore superotto, congelando gli attori nell'ultima posa, impedendo loro di agire, muoversi, reagire.

e poi avesse lasciato che il film riprendesse.



"per chi era tutto questo?" mi chiede mongo, fissando la pozza sul pavimento dove il presidente della regione sicilia ha appena consumato il suo show mortificante.
"perchè proprio qui?"


lo sappiamo.
non osiamo dirlo.
non osiamo voltarci.
non abbiamo la forza di giraci a guardare i nostri ospiti fantasmi seduti attoniti al tavolo della saletta buia un po' in disparte.








HB

*(totò cuffaro, presidente della regione sicilia, il 18 gennaio è stato condannato a 5 anni per favoreggiamento. ha subito dichiarato di non avere alcuna intenzione di dimettersi, e si è detto sollevato dal fatto che la sentenza -favoreggiamento semplice- abbia dimostrato -a suo dire- che non ha favorito la mafia. del tutto indifferente al fatto che la sentenza specifichi che ha favorito singoli mafiosi, e che sia stato interdetto dai pubblici uffici. addirittura il giorno dopo ha festeggiato la sentenza offrendo ai giornalisti allibiti un vassoio di cannoli).


( da superZ, Tabacco e celluloide, (il salotto buono). )