mercoledì

La Scrivania.




ancora una volta l'abbiamo trovato nel nostro ufficio.

in lacrime.

Tranciafolli è abbracciato alla scrivania come un cane infoiato alla gamba di un padrone distratto.

mongoxxx lascia trascorrere sempre qualche attimo prima di chinarsi e di sollevarlo.

tentare di sollevarlo, perchè quello si lascia ricadere giù a peso morto.

allora mongo decide che tirarlo per la camicia stazzonata è inutile, scosta la presa alla collottola, e quando come ogni volta il tessuto cede ed il colletto si stacca con un riiiiiiiiiip dall'indumento, ecco che è Dietmar ad intervenire, affondando le dita tra i capelli del vecchio piagnucolante e trascinandolo fuori, mentre quello scalpita e batte i talloni sul pavimento come un redivivo max roach bacchette su tamburi e piatti.

guardo mongo che si accende una sigaretta, col movimento barocco di chi combatte la bellezza del disgusto che un amore così disperato suscita in chi lo osserva ormai da tempo, sempre qui, nella penombra dell'ufficio.

ai piedi della nostra scrivania.

i tasti della macchina da scrivere sono colmi di bava.


ma queste sono solo parole.
è bene che vi racconti i fatti.


*

(Molti anni prima, in un altro ufficio).

*

Tranciafolli, con un ampio movimento circolare del braccio, spinse le carte e i vecchi elastici giù dal tavolo.
Amava l'ordine, ma riusciva a combatterlo sommariamente soltanto col disordine.

Le giornate di straordinario, pensò, sono le peggiori.
E' quasi sera, non c'è freddo e ancora non c'è caldo, tra poco devo tornare a casa.

Le pratiche terminate sono sul piccolo tavolino di legno scuro.

Alzò lo sguardo al soffitto e notò ancora una volta la macchia di umidità così simile ad una donna svestita.

Socchiuse gli occhi ed ebbe un fremito agli inguini.

Sta succedendo,-pensò- sta succedendo...

Non accadeva spesso, ma quando la carne gli comunicava i propri bisogni non sapeva opporsi né negarsi un solitario piacere.

Scostò la sedia, scomparì nello sgabuzzino e tornò con la ramazza in mano.

Sollevò la punta della scopa fino alla macchia, quella forma femminile, e le tastò il pube -la zona di umidità simile ad un pube.
Si spinse sulle dita, grattò più forte con la sommità del bastone contro l'intonaco.

Non era ancora abbastanza.

Iniziò a colpirla con piccoli toc, ritmici e insistenti.

Con l'altra mano si toccò il sesso.

I colpi si fecero più insistenti, ed una sottile polvere di calce si sbriciolò dal soffitto, e per Tranciafolli fu come una richiesta lasciva.

Anche se il polso iniziava a dolergli, intensificò la violenza delle battute, fino a che dal piano superiore non giunsero delle grida di uomo.

Alle grida seguirono delle percosse di sedia sul pavimento, e poi degli insulti.

Tranciafolli si bloccò, perse l'equilibrio e cadde seguito per terra dalla sedia, dalla scopa e dalla pila scomposta di pratiche.

Il frastuono lo atterrì, gli fece scemare l'erezione e nascere il sospetto di essere malato.

Ebbe il tempo di sollevarsi che per le scale udì il suono di passi rabbiosi.
Poi bussarono alla porta dell'ufficio.

Bussarono con molta insistenza, con molta cattiveria, pensò Tranciafolli.
Si slacciò il nodo della cravatta e temette l'insorgere di un infarto, che però non giunse.

Rimase immobile, ansimando.

Da fuori la voce urlò che avrebbe protestato col capo ufficio, col portiere e con l'amministratore del palazzo: sapeva che si trattava di lui, Tranciafolli, e non era la prima volta che i colpi lo disturbavano e che avrebbe fatto di tutto per nuocere al suo lavoro.

Poi si udirono ancora i passi, poi più nulla.

Tranciafolli si rilassò un po', si risedette.

L'aveva fatta grossa.

Di certo le urla dell'inquilino erano state udite da tutti, dal portiere, da tutte le donne del palazzo.

Lo avrebbero deriso.

Sollevò lo sguardo e la macchia tentatrice era li, più oscena ancora.
L'intonaco sbriciolandosi aveva aperto una breccia, una finestrella triangolare dietro la quale rosseggiava la superficie dei mattoni.

Ebbe un fremito per quella donna così selvaggiamente aperta.
Si prese la testa tra le mani, trattenne un gemito, dardeggiò nell'aria con la lingua giallastra, sognando di assaggiare quel sesso pensile.

Bruciante di desiderio si strinse contro al muro, come un orso che ha freddo, si pressò negli angoli, si massaggiò i gomiti velati dalla camicia.

Perchè adesso questo desiderio di donna, perchè così forte e insistente?
Fissò il soffitto ed una stizza rabbiosa lo assalì.

La macchia aveva perso le sembianze di un corpo femminile ed era soltanto una macchia grigia.

Allora sfogliò con furia le riviste nel secchiello verde bottiglia, ma non trovò altro che numeri parole e visi di maschio.

Forse era meglio tornare a casa.
La moglie lo attendeva: tra le mura domestiche quella foia incontrollata lo avrebbe abbandonato.

Però poi pensò agli sguardi accusatori e disgustati dei condomini per le scale, e questo lo trattenne.

Intanto la passione lo prese ancora, e a provocarla fu il pensiero della macchina da scrivere della Guidini, nell'altra stanza.

I tasti della macchina da scrivere della Guidini: piatti, lucidi, e pregni del sapore delle dita di lei.

Ruggì quasi, pensandoci.

Si sentì perso, senza controllo.

Corse di la, accese la luce e si avvicinò allo strumento.

Sollevò il telo di protezione e gli si prostò davanti.

Ficcò le unghie nel legno della scrivania, poggiò il mento sul tasto lungo per gli spazi.

Ebbe l'immagine della Guidini dentro al cervello: le spalle rotonde e strette nel vestito, la curva del suo seno.

Con la punta della lingua sfiorò la F, poi la Q e la H, la J, scese a lambiere la B, la N, leccò il punto interrogativo e la virgola, poi i due punti.

Gli sembrò di sentire il sapore pastoso dei polpastrelli di lei, il calore della pelle.

Il cuore sbraitava e quelle urla represse erano come un sangue pazzo che gli scorreva nel corpo.

Non pensò neanche per un attimo di essere folle, si sentiva soltanto euforico e vivo.

Si ferì un po' la lingua scivolando su fino al rullo rotante e nero, insalivandolo disturbato appena dall'idea di un sesso maschile.

Sentì la pressione dei tasti sulle guance, taglienti contro la pelle.

Spinse tanto il viso tra i pulsanti che senza accorgersene fece scivolare la macchina da scrivere fino all'orlo del tavolo e poi giù per terra.

Seguì un rumore pesantissimo di ferraglia.

Dal piano di sotto giunse un urlo di protesta, poi dei colpi contro il soffitto.
Ma Tranciafolli non ci badò neanche.

Si accasciò sul pavimento, ansimando, le labbra sul legno consumato della pedana della scrivania.

Qui la Guidini poggia i piedi, e a volte forse scalcia via le scarpe e poggia la pianta nuda, paffuta e sudata.

Si esaltò a quel pensierò, e morse quel tratto di legno cilindrico come un cavallo eccitato stringe la mordacchia tra i denti.

Le sue spalle si contrassero e i fianchi gli si strinsero come un anello intorno alle ossa.

Senza rendersene conto si era spinto troppo fin dentro al cavo sottostante la scrivania.

Lui e il suo grasso.

Era rimasto incastrato.

Qualunque idea erotica svanì dalla sua mente e si sentì angosciosamente prigioniero

*

Si divincolò, si scosse tutto, ottenendo soltanto d far traballare il legno pesante.

Da sotto salirono nuove proteste.

Tranciafolli sentì il sudore inzuppargli il colletto della camicia.

Udì dei passi veloci perle scale, e diversi campanelli suonare.

Alzò lo sguardo al muro, all'orologio: le diciannove e cinquantotto minuti.
"Mia moglie avrà già apparecchiato per cena".

La paura pian piano scemò dal suo corpo.



Ma.



L'attenzione gli si bloccò su di un filo bianco, di media lunghezza.

Per terra.

Davanti al suo viso.

Pensò alla Guidini, e allora fantasticò che quello doveva essere di certo un pelo caduto dalle sue mutandine, durante le lunghe ore alla scrivania.

Un pelo di figa.

Avvertì lungo la schiena un vibrare di vertebre, sentendosi un baccello separato in due dal pollice esperto di una massaia.

Protese le labbra per succhiare la reliquia, troppo lontana.

Inspirò, tirò fuori la lingua, ma non riuscì a raggiungerla.

Poi ebbe un pensiero improvviso e sferzante: non era la scrivania a stringergli i fianchi incatenandolo, ma i muscoli sodi delle gambe della Guidini.

Un rigurgito di saliva gli colmò la bocca, si sentì animato da un vigore inaspettato e con colpi vigorosi dei reni prese a scuotere la pesante impalcatura di legno, sollevandosi sulle ginocchia e lasciandosi ricadere giù.

Il frastuono della scrivania montata e posseduta invase la piccola stanza, infuocò i suoi sensi trasformandosi nel gemito di una donna posseduta e sancì definitivamente la sua condanna.

Persa ogni pazienza gli inquilini riuniti sul pianerottolo forzarono la serratura della porta, ma non riuscendo nell'intento la scardinarono a spallate.


Gli uomini ebbero un moto di pena e disgusto, mentre le donne coprirono gli occhi ai bambini perchè non potessero vedere il ragioniere Tranciafolli, cinquantanove anni, seminudo e avvinto alla regolare geometria di legno di una scrivania gridarle esasperato, fremendo e godendo, "ti amo, Guidini, ti amo..."

******

(prologo con funzione di epilogo)

quando Rocco tempo fa tentò di dare fuoco al Salotto, distrutto all'idea che la sua piccola Estrelita avesse scelto di abbandonare le sessioni di gagging giravolte di dita nell'ano e filamentosi ceffoni allo sputo sulle tonsille, si presentò una sera vestito di tutto punto di lamè, lo sguardo ipertiroideo liquoroso e mesto vivificato appena da una striscia di coca, e tra suppliche e minacce ci chiese udienza qui nell'ufficio.
canella sulla polrona in fondo a nettarsi le unghie con la lama gelida di un bisturi, mongo a reprimere una torma di sbadigli di quelli che gli vedi nascere dietro l'epiglottide come uno stormo di corvi indecisi, ed io qui dietro la scrivania a scarabocchiare con una biro l'immagine di un cane sdentato e moribondo.
Rocco chiese che le venisse restituita Estrelita, lo chiese biascicando e spingendo in avanti il pube dietro la patta rinforzata dei calzoni.
"restituire" ripetè freddamente mongo, con il tono definitivo di chi depenna con un taglio definitivo di matita un nome da una lista.
"restituire" ripetè canella senza sollevare lo sguardo dalla piccola ferita appena provocata accidentalmente sulla cuticola di un'unghia.
bhe, di fatto Estrelita non era più con noi, dopo settimane di permanenza come cassiera nel locale e dopo aver preso residenza fissa e definitiva nel cuore di Docu.
docu ed estrela erano altrove, da giorni, quell'altrove fatto di luoghi lontani dei quali il vecchio docu vagheggia spesso, ma che esistono realmente nella topografia del suo dna di viaggiatore pazzo.
tagliando la testa al toro, col secco ZAK di un manolete annoiato, mongo risolse mentendo con gusto, raccontando che Esterelita fosse morta, scrocchiando come un cracker sotto la caduta di una pendola gigante, giorni prima, durante il tentativo di disincastrare le lancette bloccate.
fu li che rocco diede fuori di matto, schiaffeggiandosi il pacco, e in ultima soluzione svitando il tappo da un flaconcino di benzina portato per l'occasione, spargendosela addosso e poi dandosi fuoco tra le lacrime.
anni e anni di animal trainer aggrovigliano il cervello, te lo incasinano come un favo zeppo di api pazze.
in un primo momento io mongo e canella restammo estasiati alla vista di quel pupazzone fiammeggiante, ma poi, -cazzo-, noi si hanno in mano le chiavi di questa piccola sordida isola polverosa di musica tabacco e fantasmi, ed allora mentre i due guardiaspalle rincoglioniti di rocco si adoperavano a spegnere il capo a pisciate, tirammo giù una tenda e gliela calammo addosso, riducendo le fiamme a focherello e l'imbecille al ruolo definitivo di sfigato sopravvissuto.

bene, tutto questo per ricordare cosa ci fosse all'origine della vicenda della presenza di Tranciafolli nel nostro ufficio, adesso.

Rocco si salvò ma riuscì a trasferire le fiamme alla nostra scrivania, che ne fu in parte distrutta.

Acquistammo da un rivenditore la mobilia di un ufficio dismesso, compresa la scrivania e la macchina da scrivere all'origine di questa vicenda.
La scrivania della Guidini.

*

Ecco perchè ogni due mesi circa, quel tragico panzone innamorato e folle di Tranciafolli penetra qui, nel Salotto Buono di sZ, eludendo la sorveglianza con i più bizzarri stratagemmi, ed invade silenziosamente il nostro ufficio, sognante, per riappropriarsi in un molle abbraccio sessualissimo della Scrivania, ficcandocisi sussultante sotto, sbattendoci contro, la lingua lappante a succhiellare tasto per tasto la vecchia Lettera 21 della Guidini.


HB

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